COMITATO
MERATESE PER LA DIFESA E L’ATTUAZIONE DELLA COSTITUZIONE
Comunicato stampa
Il Parlamento costa troppo, è lento e inefficiente, i parlamentari sono troppi: sono queste le motivazioni alla base della revisione costituzionale che ne prevede la riduzione, di prossima quarta ed ultima lettura in Parlamento.
Siamo
nell’età del post ideologismo e del trionfo del senso pratico che
porta alla carenza di visioni di insieme; si massimizza la ricerca
del consenso, della propaganda e della politica ridotta a semplice
amministrazione. La “caduta” delle ideologie ha portato alla
proliferazione dei partiti personali, carenti di processi
decisionali, basati sui principi della democrazia interna e della
rappresentanza .
Il
Senato ha dato il via libera, in seconda lettura, al Disegno di Legge
Costituzionale che modifica gli articoli 56, 57 e 59 della
Costituzione; ove la Camera lo approvasse, a sua volta in seconda
lettura, sempre a maggioranza assoluta, la legge si intenderebbe
licenziata, salvo indizione di un referendum che potrà essere
chiesto, a norma dell’Art.138 della Costituzione, entro tre mesi
dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, da un quinto dei
Deputati o dei Senatori o da cinque Consigli Regionali o da
cinquecentomila elettori. Il Disegno di Legge prevede una riduzione
di 345 parlamentari, 230 alla Camera e 115 al Senato.
Il
risparmio dei costi per lo Stato
Uno
dei cavalli di battaglia dei proponenti è che il risparmio sarebbe
di 500 milioni di €/anno, ma ciò è falso perché lo stipendio
lordo dei Parlamentari è di circa 175.000 €/anno, per cui il
risparmio si colloca attorno a 60 milioni /anno. pari allo 0,07 per
mille della spesa pubblica dello Stato che ammonta a circa 850
miliardi /anno; siamo di fronte ad un’inezia. Una cifra marginale
pure se raffrontata al costo di Camera e Senato, pari a 1525
milioni/anno. Tra l’altro, ragionando in termini puramente
economici, un possibile referendum confermativo costerebbe 300
milioni, bruciando i risparmi dei primi cinque anni. Si tratta,
quindi di una mossa demagogica
Rappresentanza
Il
principio di rappresentanza dei parlamentari viene sminuito e,
permanendo l’attuale legge elettorale, con soglia di sbarramento
formale al 3%, di fatto diminuirebbe ancora. Sarebbe come aumentare
al 10%, circa, tale soglia, soprattutto per il Senato, a causa dei
collegi elettorali ingranditi territorialmente; si
accresce così la distanza fra elettori ed eletti e si
penalizzano
le piccole formazioni. Se mai la legge dovesse essere approvata, il
male minore è quello di adottare un sistema elettorale puramente
proporzionale. In effetti l’introduzione di sistemi maggioritari, a
partire dal 1994, invece di garantire il bipolarismo e la stabilità
dei Governi, ha determinato i continui cambiamenti di leggi
elettorali, fenomeno sconosciuto negli altri grandi Paesi europei. I
candidati vengono decisi dai “capi” partito e sono state
eliminate le preferenze, sottraendo agli elettori un minimo di
discrezionalità.
Più
Governo e meno Parlamento
E’
in atto, da alcune legislature, un rafforzamento dell’Esecutivo,
giustificato da supposte motivazioni di urgenza, per cui si legifera
sulla base di Decreti Legge, ponendo sovente la fiducia. Dovrebbe
essere l’Esecutivo che attua le leggi approvate dal Parlamento ma da
due decenni è in atto un capovolgimento, ovvero il Governo decreta
ed il Parlamento approva, anche a scatola chiusa (ultimo esempio la
Finanziaria 2019), con la fiducia o altre mannaie procedurali.
Riteniamo
che l’efficienza del Parlamento possa essere aumentata migliorando
i Regolamenti interni, decentrando e assegnando maggiori funzioni ai
parlamentari, invece di porre mano a demagogiche revisioni
costituzionali.
Per
adesione ed ogni altra informazione:
Comitato
meratese per la difesa e l’attuazione della Costituzione,
costituito nel 2009
LEGGE ELETTORALE DA CAMBIARE. Insieme alla riduzione dei parlamentari voluta dal M5S e ormai in dirittura d’arrivo (dopo i passaggi parlamentari intervenuti durante il precedente Governo) è entrata nell’agenda della maggioranza la modifica della legge elettorale, necessaria per evitare le storture che, altrimenti, la riduzione dei parlamentari comporterebbe (cfr. https://volerelaluna.it/rimbalzi/2019/09/12/il-maggioritario-farlocco-di-romano-prodi/). Ma quale modifica? I rumors parlano di un ritorno al proporzionale puro in sostituzione del sistema misto attualmente previsto dal Rosatellum. Tanto è bastato a mandare in fibrillazione i mentori di sempre del maggioritario: in particolare, in casa PD, Prodi e Veltroni. Per il resto è tattica. Poco o nessun interesse di sistema e ricerca della soluzione che, qui e ora, può dare maggiori vantaggi elettorali, così che a un Renzi improvvisamente convertito al proporzionale si contrappone un Salvini giunto a prospettare un referendum per realizzare il maggioritario mediante l’abrogazione dell’attuale quota proporzionale. Meglio mettere da parte i proclami da pasdaran e le conversioni per convenienza e provare a ragionare. Intorno alla domanda centrale: perché sostenere il proporzionale?
1)
RAPPRESENTARE.
Il sistema proporzionale è il metodo più democratico di scelta dei
parlamentari: per la decisiva ragione che disegna le assemblee
elettive a immagine e somiglianza del Paese, cioè del mitico
“popolo”
da tutti evocato (naturalmente se e quando conviene). Con esso,
infatti, se una forza politica ha il 10% dei consensi nel Paese avrà
il 10% dei parlamentari e altrettanto accadrà per chi ha il 40 o il
70% dei consensi. Non è così con i sistemi maggioritari in cui il
partito che ha più voti viene premiato, seppur con tecniche e modi
diversi, per il semplice fatto di essere il più forte. Nei Paesi in
cui vi è un radicato bipolarismo ciò non altera significativamente
la rappresentanza, ma in quelli (come il nostro) caratterizzati da
grande frammentazione politica e da una pluralità di forze in
competizione gli effetti distorcenti sono massicci. Addirittura può
accadere – ed è anzi un’eventualità niente affatto remota –
che un partito con il 30% dei voti (e dunque, considerato
l’astensionismo, con il consenso del 15 o del 20% dei cittadini)
abbia la maggioranza assoluta in Parlamento. Nessuno accetterebbe una
soluzione siffatta in un condominio, in un consiglio di classe o in
una bocciofila. Ma quando si tratta del Parlamento le cose cambiano.
2)
GOVERNARE.
Si dice, infatti, che il maggioritario è necessario per garantire
lagovernabilità
consentendo
di «sapere
la sera del voto chi ha vinto
e ha i numeri per governare». A conferma, si cita la grave crisi
politica di Paesi con sistemi elettorali più o meno proporzionali, a
cominciare dalla Spagna, in cui è estremamente difficile formare
governi stabili, al riparo dalle incertezze e dai veti interni alle
potenziali coalizioni. L’argomento è solo all’apparenza
consistente. Anzitutto perché la governabilità
non è un valore assoluto:
se così fosse, la miglior forma di governo sarebbe quella – credo
non auspicabile – dell’uomo
solo al comando,
foriera della massima rapidità decisionale e del minimo confronto
politico. E, poi, perché governabilità e maggioritario non sono
affatto sinonimi. Se, infatti, è lapalissiano che una maggioranza
parlamentare corrispondente a una maggioranza politica reale
favorisce la formazione di governi stabili (qualunque sia il sistema
elettorale utilizzato), non è vero che un effetto analogo sia
raggiungibile con operazioni di ingegneria elettorale quando quella
maggioranza politica non esiste. I fatti sono eloquenti nel dire,
proprio in questi giorni, che è più governabile la Germania (dotata
di un sistema elettorale tendenzialmente proporzionale) che non la
culla del maggioritario: quel Regno Unito costretto a chiudere il
Parlamento per cercare di risolvere la crisi della Brexit. Non per
caso ma perché la governabilità
è un fatto politico
e non il frutto di tecniche elettorali produttive di maggioranze
fittizie e prive di riscontro nella realtà. Non solo ma anche le
coalizioni
tanto demonizzate dai sostenitori del maggioritario, lungi
dall’essere un portato del proporzionale, sono, in tutti i sistemi
non bipolari, una
necessità politica
che le diverse tecniche elettorali si limitano a collocare prima o
dopo il voto (come dimostrano, nel nostro Paese, le grandi manovre in
atto in questi giorni, sia a destra che a sinistra).
3)
LEGIFERARE.
I sostenitori del maggioritario continuano, peraltro, affermando che
la frammentazione
conseguente al sistema proporzionale paralizza
il Parlamento e il Governo e osta a un’attività legislativa e
amministrativa all’altezza dei bisogni di una società complessa.
Anche questo rilievo, pur all’apparenza suffragato da alcuni esempi
recenti, è in realtà infondato, quantomeno nella sua radicalità.
Basta guardare alla nostra storia nazionale dei decenni passati. Nel
1970 ad esempio, vigente un sistema elettorale proporzionale puro,
Camera e Senato approvarono, nell’arco di soli sette mesi, un
complesso di leggi che cambiarono letteralmente il volto del Paese:
l’attuazione dell’ordinamento regionale ordinario, lo Statuto dei
lavoratori, la legge regolatrice del referendum abrogativo, la
previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, il
divorzio. A tali riforme seguirono poi, nel volgere di pochi anni,
altre leggi fondamentali come quelle sugli asili nido e sulla scuola
elementare a tempo pieno, sull’obiezione di coscienza al servizio
militare, sulla disciplina della custodia cautelare, sul nuovo
processo del lavoro, sulla protezione delle lavoratrici madri, sulla
tutela della segretezza e della libertà delle comunicazioni, sulla
delega per il nuovo codice di procedura penale, sul nuovo ordinamento
penitenziario, sulla riforma del diritto di famiglia, sulla
fissazione della maggiore età a 18 anni e via elencando. E ciò
avvenne – merita ricordarlo – non
in presenza di un diffusocomune
sentire ma
all’indomani dei sommovimenti del Sessantotto e dell’autunno
caldo e nel permanere di una situazione di elevata conflittualità
politico-sociale.
Fu una stagione di riforme e di scelte incomparabile con quella
dell’ultimo ventennio, caratterizzato dal susseguirsi di leggi
elettorali tendenzialmente maggioritarie. A dimostrazione che gli
ostacoli e le difficoltà di funzionamento di Governo e Parlamento,
quando ci sono, hanno natura
politica e nontecnica.
4)
MORALIZZARE.
Si dice, ancora, che il sistema elettorale in vigore nel nostro
Paese sino alla fine della prima Repubblica ha prodotto una
frantumazione patologica della rappresentanza e l’incancrenirsi del
clientelismo
e della corruzione, diventati un male endemico soppiantabile solo con
un sistema drasticamente maggioritario. La tesi è, a dir poco,
paradossale ché il Parlamento eletto con il Porcellum
(caratterizzato
da un forte premio di maggioranza) ha conosciuto manifestazioni di
trasformismo senza precedenti nella storia nazionale e la caduta
verticale del costume
amministrativo
intervenuta nelle Regioni e nei Comuni ha fatto seguito alle riforme
elettorali in senso maggioritario introdotte per tali enti nel 1995 e
nel 2000 (che ne appaiono evidente concausa, se non altro per la
riduzione del controllo politico che hanno prodotto).
5)
PARTECIPARE.
Ma c’è, a favore del proporzionale, una ragione ancor più
profonda. I diversi sistemi elettorali, lungi dall’essere neutri,
rimandano
a diverse concezioni della democrazia prefigurando l’uno (il
maggioritario) una democraziadi
investitura,
l’altro
(il proporzionale) una democrazia rappresentativa e partecipativa.
Il discrimine tra i due sistemi è netto. Nella democrazia
rappresentativa – come è stato detto – «la sovranità popolare
si esercita attraverso l’elezione di organismi rappresentativi, ma
anche attraverso la partecipazione
a partiti, movimenti, associazioni, che rimangono strumenti
indispensabili per dar forma e voce alle istanze avanzate dalla
società». Nella democrazia immediata o di investitura, al
contrario, «il potere dei cittadini si esprime e si esaurisce nella
scelta di capi di governo, che si relazionano direttamente con masse
di individui atomizzati, senza l’intralcio di partiti e altri
soggetti collettivi». In questa sorta di “democrazia del tinello”
i cittadini
cessano di essere protagonisti per diventare spettatori e limitarsi,
come in un gioco televisivo, a esprimere periodicamente un votodi
gradimento per
gli aspiranti leader, fondato non sull’analisi di programmi
articolati ma su emozioni
indotte da tecniche di pubblicità commerciale.
Con il corollario che «chi
vince prende tutto»
e che il «grande manovratore» così selezionato non deve, poi,
essere disturbato, durante il mandato, né da partiti o movimenti né,
tantomeno, dagli elettori che lo hanno scelto. Detto in altri
termini,
il proporzionale investe sulla politica mentre il maggioritario
spoliticizza la società, rompe la coesione sociale e accresce i
fenomeni di isolamento, insicurezza, conflittualità.
Certo, se manca la politica anche il proporzionale non funziona, ma
la colpa non è dello strumento…