BASTA CAPI CARISMATICI

PERSONALIZZAZIONE E GERARCHIZZAZIONE DELLA POLITICA, GRAZIE ALL’AMPLIFICAZIONE MEDIATICA, QUANDO, MAI COME ORA, CI VORREBBE CONDIVISIONE E COLLEGIALITÀ

Tratto dall’articolo di GIOVANNI VALENTINI su La repubblica del 22 ottobre 2011, pagina 34, sezione: commenti

 

Ma in un paese come il nostro, che ha conosciuto il fascismo, è l’idea stessa del “capo” o dei “capi” carismatici, indotta dall’attuale personalizzazione di quasi tutti i partiti e più che mai del partito al governo, che rappresenta un’insidia micidiale per il futuro della democrazia. (da “Poteri selvaggi” di Luigi Ferrajoli Laterza, 2011 – pag. 26)

Leaderismo.  Fra le scorie e i residui più velenosi del berlusconismo, destinato verosimilmente a durare anche oltre il governo terminale di Silvio Berlusconi, c’è quel bisogno diffuso di leaderismo che è stato inoculato nel corpo sociale dalla personalizzazione della politica, favorita a sua volta dall’amplificazione mediatica e in particolare da quella televisiva. Non è un fenomeno soltanto nostrano. E appartiene certamente alla dimensione planetaria della moderna società della comunicazione, a cominciare dall’avvento dell’ex attore cinematografico Ronald Reagan alla guida della Casa Bianca. Ma, a causa di un conflitto di interessi senza uguali al mondo, nel nostro Paese ha assunto ormai caratteristiche tanto specifiche e preoccupanti da configurare l’anomalia del “caso italiano”. Nel capitolo intitolato “Il populismo e l’idea del capo come incarnazione della volontà popolare”, l’autore del libro citato all’inizio osserva: «Ciò che tuttavia rende più distruttivo, in Italia, questo processo di personalizzazione della rappresentanza è l’ideologia politica che lo accompagna e lo sorregge e che si manifesta nella più o meno consapevole negazione della distinzione e della separazione tra rappresentanti e rappresentati, fra Stato e società». E sottolinea che questa deformazione plebiscitaria deriva proprio dal rapporto diretto instaurato dai leader con il popolo attraverso la televisione.

Delega e responsabilità.  Parafrasando Bertolt Brecht della Vita di Galileo, anche noi potremmo dire perciò «beato o fortunato quel popolo che non ha bisogno di eroi»: cioè, appunto, di capi carismatici, uomini del Destino, salvatori della Patria. Non solo perché l’Italia nella sua storia ne ha già visti fin troppi. Ma soprattutto per il fatto che in democrazia la leadership, vale a dire la capacità e la responsabilità di guidare un partito, una coalizione o un governo, deve maturare necessariamente nella condivisione e nella collegialità sulla base di un’investitura della base: altrimenti, prima o poi degenera fatalmente nell’assolutismo, nella dittatura o nella tirannia. E quando cade un dittatore (anche televisivo) o un tiranno (anche mediatico) non se ne cerca un altro a cui affidare la ricostruzione di un Paese. In realtà, la voglia di leaderismo non è che il riflesso condizionato di una tendenza più o meno inconsapevole alla deresponsabilizzazione, attraverso la cessione di una delega in bianco che legittima il disimpegno e la mancanza di partecipazione, politica e civile. E al riparo della quale, come dietro un alibi o un paravento, si possono coltivare più liberamente gli interessi particolari, gli egoismi o le rivendicazioni individuali. Un atteggiamento fondamentalmente pilatesco, insomma, alimentato dalla carenza congenita di un’etica pubblica. Calata nell’attualità della vita politica italiana, la riflessione può riguardare nello stesso tempo la successione a Berlusconi nel centrodestra o a Bossi nella Lega; la candidatura di Bersani, di Vendola o altri alla premiership nell’ambito del centrosinistra; l’ipotesi di Montezemolo alla guida del Terzo polo. Al momento, non si vedono all’orizzonte nuovi leader carismatici, capaci di aggregare intorno sé un’ampia e solida maggioranza di consensi. Ma forse è un bene che sia così: magari prevarranno finalmente le idee, le proposte, i programmi; si costituiranno coalizioni più omogenee e compatte; si formeranno compagini o squadre di governo più competenti ed efficienti.

Declino della tv generalista.  Sta di fatto che l’habitat mediatico della politica è destinato progressivamente a cambiare. Non a caso oggi il declino politico di Berlusconi coincide con il declino della televisione generalista, come l’abbiamo conosciuta fin qui: e infatti il mezzo di persuasione occulta più subdolo e potente, fondato sul dominio del palinsesto, lascia sempre più spazio alla tv fai-da-te, ricavata da varie fonti ed emittenti in base alle esigenze o ai gusti individuali. In futuro, l’impatto dei new media, dei “media personali”, di Internet, dei blog, di Facebook e di Twitter, di YouTube, degli sms o mms, modificherà sostanzialmente il modo di fare politica e anche quello di intenderla, praticarla, recepirla. E di conseguenza, la stessa leadership si trasformerà auspicabilmente in un rapporto più paritario, circolare, diretto. Ancora una volta, però, si tratta di distinguere fra i rappresentanti politici – preparati, esperti, affidabili – e i “tribuni della plebe”, gli illusionisti mediatici, gli imbonitori televisivi, gli showman, i venditori di sogni o di fumo. L’uso più attivo e consapevole dei media da parte dei cittadini elettori implica necessariamente una maggiore capacità di orientamento e di scelta. È un esercizio continuo di responsabilità che, nell’era della comunicazione di massa, si può compiere solo attraverso il controllo sociale e lo spirito critico. (sabato@repubblica.it)

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