PENSIERO LIBERALE E POTERE BERLUSCONIANO

di MASSIMO L. SALVADORI    da  La Repubblica — 11 novembre 2009   pagina 52,   sezione: commenti

Fin dagli albori del pensiero politico occidentale la riflessione sulla natura del potere ha ruotato intorno alle distinzioni relative a che questo sia detenuto da uno o da pochi o dai molti, abbia un carattere immoderato o moderato, sia concentrato al punto da divenire al limite dispotico oppure articolato e soggetto a controlli e contrappesi. E tutte le forme di governo si sono divise in assolutistiche e in variamente antiassolutistiche. Orbene, la specificità delle prime, nelle loro versioni tanto antiche quanto moderne, è di rendere impossibile ogni balance of power all’interno della macchina di governo e di tendere a impedire qualsiasi opposizione. La nascita del liberalismo è legata insieme agli eventi che nell’Inghilterra del Seicento posero fine alla monarchia assoluta e al pensiero dei due massimi maestri delle teorie antiassolutistiche, Locke e Montesquieu: l’uno affermò che i regimi liberi poggiano sulle istituzioni rappresentative, sulla piena espressione delle libertà politiche e civili e sul primato del potere legislativo su quello esecutivo; l’altro che la difesa della libertà poggia sulla divisione e sull’equilibrio dei poteri ponendo ad architrave il principio secondo cui «perché non si possa abusare del potere, bisogna che il potere freni il potere».

Nuove forme di assolutismo. Toccò ad una nuova generazione di pensatori liberali, ai Constant, Tocqueville, John Stuart Mill, levare l’allarme sul fatto che l’attacco all’equilibrio dei poteri poteva venire non soltanto dal vecchio assolutismo, ma anche vuoi da democrazie in cui la maggioranza invoca il diritto di restringere o annullare con un approccio illiberale i diritti delle minoranze, vuoi da leader che, avvoltisi nella bandiera della popolarità, usano degli strumenti offerti dalla democrazia per realizzare una sempre maggiore concentrazione di poteri fino ad esiti autoritari. La prima degenerazione dava luogo alla «tirannide della maggioranza», la seconda al neocesarismo. Tocqueville e Mill e in seguito Max Weber indagarono poi su un’altra componente del moderno assolutismo: quella derivante dal sommarsi del potere economico, politico e ideologico. Fu Weber a parlare in proposito del costituirsi in un simile caso di una «gabbia d’acciaio» da cui le libertà degli individui e dei gruppi sarebbero risultate sempre più soffocate. Egli, al pari di Tocqueville e Mill, aveva legato il sorgere della gabbia d’acciaio anzitutto all’avvento al potere di una dittatura socialistica collettivistica e statolatrica, ma al tempo stesso sottolineato con forza che essa poteva ben venire anche dal versante opposto, ovvero dalla plutocrazia.

Oggi in Italia.  Siffatta premessa non vuole essere un astratto excursus dottrinario, ma un richiamo alle categorie di giudizio che consentono di concretamente ragionare sul processo in atto da noi. È di non molto tempo fa l’articolo di un noto giornalista in cui si sosteneva che in Italia non si dà un «regime», perché vi sono pur sempre il Parlamento, il pluralismo politico, dell’informazione, ecc. Due osservazioni al riguardo. La prima concerne un uso improprio del linguaggio, che è andato diffondendosi, per cui il termine regime viene reso sinonimo di sistema autoritario o addirittura di dittatura, laddove esso è di per sé neutro e non altro significa se non forma di governo, ordinamento politico, il quale per qualificarsi richiede aggettivi come autoritario, liberale, democratico, dittatoriale, e via dicendo. La seconda riguarda la sostanza di ciò che implica il concludere che, se in Italia non vi è un “regime” (inteso secondo la prima deformante accezione), allora la democrazia resta viva e vegeta. Si tratta in questo caso di un aut aut concettuale rigido, che preclude la comprensione di ciò che sta avvenendo nel nostro paese, dove si fanno ogni giorno più evidenti le molteplici pericolose restrizioni che la strategia del presidente del Consiglio ha già imposto e intende ulteriormente imporre al nostro sistema politico e istituzionale; il quale, se non hai tratti di un regime organicamente autoritario, presenta però quelli di una democrazia minacciata proprio nei suoi fondamenti liberali da chi in maniera assordante pure pretende di essere il corifeo e il difensore dei valori e dei principi liberali.

Deriva plebiscitaria.  Ebbene, usiamo le categorie fornite dai classici del pensiero liberale per ragionare sulla natura del potere berlusconiano. Esse ci dicono che le istituzioni liberali entrano in zona rossa quando si determina una concentrazione del potere politico ed economico; quando la formazione di un’opinione pubblica consapevole e autonoma viene limitata e pesantemente condizionata da un dilagante controllo dei mezzi di informazione; quando un potere dello Stato entra in conflitto permanente con un altro potere; quando la maggioranza parlamentare mira a costituirsi in rappresentanza monopolistica della volontà popolare. E, usando queste categorie, possiamo comprendere ciò a cui siamo di fronte. Berlusconi come singolo assomma un’imponente quota del potere economico, politico e dell’informazione; una simile abnorme attribuzione di poteri, in costante crescendo e che non ha riscontri in nessun altro paese occidentale, poggia su una maggioranza parlamentare che guarda ai problemi del paese costantemente preoccupata di tutelare gli interessi personali di varia natura del capo del governo; questi si serve delle proprie televisioni private, dei quotidiani e periodici che a lui rispondono, della parte delle reti televisive pubbliche su cui è in grado di imprimere il proprio marchio per via politica, al fine di condurre campagne scandalistiche contro politici, magistrati, esponenti delle istituzioni, giornali e giornalisti «nemici»: si pensi solo ai più recenti casi dell’ex direttore dell’Avvenire, del giudice Misiano e di Corrado Augias. Abbiamo a che fare non con un sistema in cui potere frena potere, ma con un accumulo di poteri di stampo illiberale il quale altera gli equilibri; con una deriva di tipo plebiscitario che punta in maniera ormai sistematica alla delegittimazione del potere giudiziario, della Corte costituzionale, del ruolo di garanzia rappresentato dal Presidente della Repubblica; con la teoria che l’unico potere ad essere legittimato è quello del capo del potere esecutivo in quanto il solo espressione diretta della vox populi: un potere che ora mira apertamente a cambiare la Costituzione così da acquisire il completo primato. Locke, Montesquieu, Mill, Weber: tutti messi in soffitta. Il paese si trova in un momento storico decisivo. La maggioranza parlamentare è chiamata a fare la conta di quanti non siano disposti a seguire Berlusconi nell’avventura finale in cui egli la trascina, l’opposizione a dar prova di quale pasta sia fatta, l’intero popolo a mostrare ai confratelli popoli d’Europa se intende continuare a soggiacere a uno stato di cose che, se ancora non lo ha chiuso nella weberiana gabbia d’acciaio, certo lo fa già vivere in una condizione che evidenzia una vera e propria immaturità politica e civile.

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