L’OBBEDIENZA CHE AVVELENA

IL CIRCOLO VIZIOSO DEL PDL

di  Ernesto Galli Della Loggia   Corriere della sera, 3/6/2011

È stata l’obbedienza – pronta, cieca e assoluta – il veleno che ha ucciso il Pdl. O meglio che, inoculato nel suo corpo fin dall’inizio, fin dall’inizio gli ha impedito di esistere veramente come partito. Bisognava obbedire a Berlusconi, questa la regola: dargli sempre ragione, o perlomeno non azzardarsi mai a criticarlo esplicitamente e con una certa continuità. Intendiamoci: anche in un partito l’obbedienza è necessaria. Ma in dosi appena eccessive essa diventa micidiale. Abitua chi comanda a credersi infallibile, e chi obbedisce a non avere idee, a ridursi a un ruolo totalmente passivo. Oppure, com’è capitato a Fini, induce cieche ribellioni senza futuro.

Selezione alla rovescia.  Ma c’è una cosa ancora più grave, ed è che quando vige il principio dell’obbedienza quel che ne risulta è inevitabilmente una selezione alla rovescia. I primi posti e le maggiori prebende vengono assegnati a coloro che si mostrano più obbedienti: e cioè, in genere, ai più deboli, ai più conformisti. Insomma, prevalgono i più incapaci. Non voglio dire con ciò che allora i maggiori esponenti del Pdl sono stati fino a oggi tutti degli incapaci. Sto dicendo che fin qui, però, tutti non hanno fatto altro che obbedire in silenzio (le due sole eccezioni di rilievo essendo, a quel che si sa, da un lato Giulio Tremonti, corazzato dal suo rapporto con la Lega e dalla sua inscalfibile arroganza intellettuale, e dall’altro Gianni Letta: l’unico capace, quando il troppo era proprio troppo, di dire a Berlusconi il fatto suo). Hanno obbedito in silenzio anche persone dal curriculum non insignificante, persone dotate di cultura e di autonomia di giudizio.

Ma perché lo hanno fatto?  Io credo perché erano convinti e/o consapevoli che i voti, alla fine, li portava solo Berlusconi. Solo lui: con i suoi soldi, le sue televisioni, il suo carisma. Tutto il resto, a cominciare dalla loro personale qualità umana e politica, agli occhi dell’elettorato sarebbe contato insomma poco o nulla, e dunque per i disobbedienti non c’era alcun futuro. Si è così alimentato un circolo vizioso: più essi ubbidivano, più di per sé finivano per non contare nulla; ma più non contavano nulla e più erano costretti fatalmente a ubbidire. Un circolo vizioso di cui la leadership di Berlusconi si è molto avvantaggiata. Ma di cui lo stesso Berlusconi si è alla fine trovato prigioniero, arrivando a pagare un prezzo altissimo, e cioè la disintegrazione del Pdl come strumento politico di qualche utilità. A quello precedente è così subentrato un nuovo circolo vizioso: più il premier perdeva smalto e consenso e più il Pdl e i suoi uomini sul territorio erano inchiodati alla loro pochezza, alla loro piccola statura politica; ma più ciò accadeva e più l’immagine del capo stesso finiva anch’essa per appannarsi ulteriormente.

Anche a destra l’obbedienza non è più una virtù.  È questo il meccanismo che si è messo vorticosamente in moto nei primi due turni delle amministrative, e tutto lascia credere che se gli attori e le parti rimarranno quelli visti finora esso sarà difficilmente reversibile. Ma se è così, se Berlusconi da solo non ha più i voti, se non rappresenta più la garanzia che prima rappresentava, allora nel Pdl l’obbedienza, semmai lo è stata, non è più una virtù. Allora per i suoi esponenti di prima come di seconda fila è venuto il momento di alzare la testa, di cominciare a disobbedire, di provare a esistere politicamente. Le primarie possono essere uno strumento. Altri se ne possono trovare. Ma ciò che oggi è decisivo è una cosa soprattutto: che imparino a disobbedire. Anche ad Alfano, se necessario.

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