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IL PESO DEGLI ANTIEUROPEISTI

giugno 1, 2014

L’AUSTERITÀ HA ACCENTUATO UNA POLARIZZAZIONE TRA PROGETTO LIBERAL-DEMOCRATICO E NAZIONAL-POPULISTA, TRA POLITICA DEI DIRITTI E POLITICA IDENTITARIA

di Nadia Urbinati La repubblica 30 maggio 2014, pagg. 1 e 33

L’ideologia nazionalista ha convinto molti a votare per partiti anti-europeisti. È stata la vincitrice, effettiva o simbolica, di queste elezioni. In Italia, il M5S, che non aveva pilotato le critiche alla Ue verso il nazionalismo, dopo l’esito deludente ha deciso di sterzare a destra. Tradendo molti elettori di sinistra che si erano affidati a (e fidati di) Grillo. La vittoria delle destre anti-europeiste anche in paesi importanti come la Francia e l’Inghilterra non è senza ragioni. È stata progressivamente alimentata nel corso di questi anni di crisi dalla caparbia politica dell’austerità che mentre non ha risollevato l’economia ha arrecato grande sofferenza a molti cittadini europei, favorendo la crescita non dei posti di lavoro ma della diseguaglianza, tradendo i principi dell’equità e della giustizia sociale.

Detonatore retorico. La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo ha fatto da miccia e i partiti nazionalisti hanno innescato il detonatore retorico, attingendo al repertorio più trito della destra estrema, a partire dall’ideologia razzista contro gli immigrati fino all’identificazione dell’oligarchia finanziaria con il complotto ebraico contro l’Europa cristiana. Vecchia retorica delle destre populiste in un nuovo contesto, quello sovranazionale. Il partito del “No Europe” ha un peso che non può essere ignorato e rappresenta un pericolo che non deve essere sottovalutato. Demonizzarlo, però, non serve. Ciò di cui c’è invece bisogno è una coraggiosa ricognizione critica dell’ideologia delle destre e delle responsabilità che pesano su un’Unione Europea che ha delegato a poteri non politici la propria politica comunitaria.

Contro gli altri. Le destre nazionaliste non dismettono il linguaggio dei diritti, ma lo reinterpretano in modi che sono, purtroppo, accattivanti soprattutto per chi più subisce gli effetti della crisi: i diritti degli eguali, dei connazionali, contro gli altri. Dove gli altri sono, di volta in volta, i cittadini degli altri paesi europei o gli immigrati extra-comunitari, ma anche le minoranze interne ai rispettivi paesi, come i musulmani o gli ebrei. Diritti come possesso privilegiato degli uguali: è questa filosofia identitaria che mette a rischio il progetto europeo, nato per consentire alla politica di oltrepassare gli steccati degli stati-nazione e diventare progetto continentale di giustizia nel rispetto delle differenze. Sul piano della rappresentazione di sé ai suoi cittadini e al mondo, l’Europa si è proposta come un faro per i “diritti umani inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto”, come recita il Preambolo del Trattato di Lisbona. Questa è l’Europa contro la quale le destre si mobilitano.

Diritti o identità. Oggi la frontiera della politica è dunque rappresentata dall’Europa stessa. Europeismo e anti-europeismo sono i due grandi schieramenti usciti dalle elezioni del 25 maggio, una dicotomia tra un progetto liberal-democratico da un lato e un progetto nazional-populista dall’altro, con due modi di intendere la giustizia sociale: per mezzo dei diritti ovvero con attenzione all’universalità di chi contribuisce al bene generale in un caso, come privilegio che spetta solo a chi fa parte della stessa famiglia nazionale in un altro. Politica dei diritti e politica identitaria sono la rappresentazione di due modelli di Europa che si scontrano oggi, dentro i confini degli stati-membri e a livello comunitario. L’Europa che esce dalle urne assomiglia a un campo di battaglia tra due visioni di cittadinanza e di giustizia a dimostrazione di quanto arduo sia tenere insieme sul nostro continente democrazia e declino del benessere. Soprattutto quando e se, come nell’Europa di oggi, il comando della decisione a livello dell’Unione è affidato per metà a una burocrazia invisibile e per l’altra metà alla pratica dei trattati intergovernativi tra governi nazionali. La politica comunitaria è la vera sconfitta. Su queste basi si sono costruiti i successi dei partiti anti-europeisti.

Europa più coraggiosa. Certo, la burocrazia ha avuto una funzione stabilizzatrice nel corso degli anni di costruzione dell’Unione, contribuendo a migliorare la vita di persone e comunità regionali, introducendo inoltre criteri di monitoraggio e di controllo che si sono rivelati capaci di estendere la pratica dei diritti civili. Ma questa ossatura di regole da sola non basta; anzi è diventata parte del problema perché non ha argomenti per rispondere alla giusta critica di deficit democratico. Spetta agli europeisti la responsabilità di non lasciare che siano gli anti-europeisti a prendere in mano la bandiera della legittimità democratica del governo dell’Unione. Non è di meno Europa che c’è bisogno, ma di un’Europa politica più coraggiosa, più convinta della necessità di mantenere fede alle promesse sottoscritte a partire dal Trattato di Roma del 1957.

2014-04-25 13.13.49